In nome dell'imperatore by Fausta Garavini

In nome dell'imperatore by Fausta Garavini

autore:Fausta Garavini [Garavini, Fausta]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2023-01-14T23:00:00+00:00


Milano, 1824

In sentenza

Era una fredda notte di gennaio, Antonio era andato a letto come al solito molto tardi, suonavano le due che la Nanni era ancora lì a chiamarlo e lui non si alzava dalla scrivania. Finalmente si era deciso e tutti e due avevano preso sonno. Ma erano sì e no le tre e mezzo quando li svegliò una vigorosa scampanellata, che è, che succede?

Succedeva che Confalonieri, al momento di essere trasferito con gli altri correi dalla casa di correzione di Porta Nuova alle carceri del tribunale per la lettura della sentenza, fissata per quella mattina 21 gennaio 1824, si era opposto al trasbordo resistendo alle guardie e puntando i piedi: “Mi ci trascineranno colla forza, nudo, io non mi muovo”, aveva detto ai delegati di polizia. Questi si erano rivolti al direttore, il direttore si rimetteva alla Commissione, così il presidente Della Porta, Orefici e Salvotti furono tutti buttati giù dal letto a quell’ora antelucana e dovettero precipitarsi a tener consiglio. Giudicarono che nel rifiuto d’obbedienza si dovesse far uso della forza, ma con precauzione, per via delle crisi epilettiche di cui soffriva Confalonieri: insomma il consigliere Pizzini col medico Locatelli, il primo luminare di Milano, furono spediti a Porta Nuova per eseguire il decreto. A quel punto il conte Federico venne a più miti consigli, protestando che non si era rifiutato di muoversi, aveva solo fatto presente ai delegati la sua cattiva salute. Locatelli tuttavia opinò che poteva essere trasportato senza nessun inconveniente, e Confalonieri si lasciò trasportare affettando il suo solito contegno altezzoso.

La lettura della sentenza doveva aver luogo alle undici nella sede della Commissione, e a mezzogiorno pubblicamente sulla piazza. Confalonieri entrò nella stanza col cappello in testa e solo al terzo passo si degnò di toglierlo, collocandosi in mezzo ai suoi compagni che visibilmente gli riconoscevano il ruolo di capo: la testa alta, le labbra arricciate di disprezzo, distoglieva gli occhi dalla Commissione fissando ostentatamente la finestra. Ma la sua spavalderia fu breve, quando il presidente li informò che la pena dovuta al loro delitto era la morte, commutata in via di grazia in quella del carcere duro, barcollò, si accasciò, e dovette essere ricondotto alla prigione sostenuto da due gendarmi. Nessuno degli altri si mostrò sorpreso o abbattuto, Andryane accolse l’annuncio imperterrito, con la forza di chi si crede un martire di una causa santa, e salutò la Commissione con un inchino nelle regole del bon ton.

A mezzogiorno la folla sulla piazza era immensa, la gente era aggrappolata alle finestre e appollaiata sui tetti. Il palco dei condannati era circondato da una compagnia di granatieri ungheresi. L’attuario in uniforme lesse la sentenza dal poggiolo del Palazzo di Giustizia, con una voce tonitruante che rimbombava nel silenzio generale. Solo quando si arrivò alla commutazione della pena di morte si levò un brontolio sordo che crebbe e rumoreggiò fino alla fine. Non era una manifestazione di rincrescimento per la condanna degli imputati, meno che meno per quella di Confalonieri. Si era sentito dire che



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